IL FUTURO DELL’OCCUPAZIONE E DEL LAVORO A VERONA Anticipazioni del Convegno del 31 Gennaio in Sala Lucchi
Presentazione.
La transizione verso l’economia circolare e, soprattutto, l’innovazione tecnologica stanno determinando nel mondo del lavoro cambiamenti di grande portata che influenzeranno la vita lavorativa, e non solo, di tutti noi ed il futuro dei nostri giovani.
Tante professioni che spariranno ma anche tante nuove opportunità che potranno essere colte solo se saremo preparati al cambiamento, e bisognerà considerare la necessità di nuovi modelli organizzativi e contrattuali del lavoro.
Ma il nostro sistema territoriale è preparato a tutto questo? La politica e le istituzioni locali saranno in grado di guidare il cambiamento?
La situazione occupazionale attuale in Veneto e a Verona è tra le migliori in Italia.
Il tasso di occupazione della Regione Veneto a dicembre 2019 è pari a 67,3%, di gran lunga superiore a quello nazionale.
Il tasso di disoccupazione in provincia di Verona, pari al 5,1%, è circa la metà rispetto al dato nazionale, così come il tasso di disoccupazione giovanile che non supera il 14%.
Delle 155 mila assunzioni effettuate nel territorio veronese nei primi dieci mesi del 2019, 18.900 sono a tempo indeterminato, 110.430 a tempo determinato, 25.000 con contratti di somministrazione e 7.165 in apprendistato.
Come nel resto del Paese, anche nella nostra Regione, territorio dinamico dal punto di vista economico, nonostante la tendenza all’aumento dell’occupazione stabile, i flussi occupazionali si caratterizzano per la netta prevalenza di contratti a scadenza (tempo determinato o somministrazione), così come risultano in evidente crescita i contratti ad orario ridotto.
Seppure in una situazione territoriale privilegiata, la lettura di questi dati porta alla conclusione che anche qui da noi, come a livello nazionale, si stia determinando il paradosso di un numero di occupati che aumenta (rispetto ai livelli pre-crisi) a fronte di una minore quantità di lavoro.
In questa cornice si inseriscono i grandi temi del lavoro interposto e dei tirocini.
Il lavoro interposto non è solo quello prestato attraverso le piattaforme digitali, ma anche quello fornito, soprattutto in favore dei grandi gruppi della logistica e della distribuzione, da cooperative e società attraverso lo strumento dell’appalto di servizi che molto spesso è un appalto “labour intensive”, con la conseguenza che i lavoratori dipendenti dall’appaltatore, che prestano la loro attività con mansioni identiche accanto ai lavoratori direttamente dipendenti dal committente, conseguono retribuzioni decisamente inferiori rispetto a questi ultimi e con tutele normative e contrattuali molto spesso al ribasso.
Malgrado questo, l’esternalizzazione dei servizi, che in pratica si traduce in appalti “labour intensive”, è diventata una pratica utilizzata diffusamente anche dalla PA e dalle amministrazioni locali, in certo senso “obbligati” a dare in appalto servizi per superare anacronistici vincoli di spesa per il personale.
A poco è servito, se non addirittura a complicare le cose, il continuo susseguirsi di nuove norme in materia di appalti che non sono state in grado di fronteggiare l’esternalizzazione selvaggia delle attività produttive e dei servizi e a garantire dignitosi livelli minimi di retribuzione.
Particolare riguardo vogliamo porre al tema dei tirocini di inserimento o reinserimento lavorativo, la cui competenza normativa è in capo alle Regioni, che si sono sempre più trasformati da strumento propedeutico a un sano ingresso nel contesto produttivo a mezzo per impiegare a basso costo lavoratori giovani e anche maturi.
Nell’ultimo accordo in sede di conferenza Stato-Regioni del 25 maggio 2017 non è stata prevista alcuna ipotesi di “clausola di stabilizzazione” dal cui rispetto dipenda la possibilità per un soggetto ospitante (datore di lavoro) di attivare nuovi tirocini. Dove invece sarebbe opportuno porre dei vincoli, per esempio che solo in caso di trasformazione di una percentuale pari al 50% dei tirocini attivati nell’anno o nei due precedenti sarà consentito allo stesso datore di lavoro l’attivazione di nuovi tirocini.
Emerge in questo modo anche nella nostra regione, sempre più prepotentemente, il tema della qualità del lavoro, caratterizzato da ridotta produttività, basse retribuzioni e carriere lavorative sempre più frammentate, cui contribuisce dunque anche la PA.
Queste modalità caratterizzano spesso la via principale di primo accesso al lavoro, divenendo uno dei motivi della massiccia emigrazione all’estero dei nostri giovani, in cerca di opportunità occupazionali all’altezza delle loro aspettative.
Sono quasi mille i giovani veneti che ogni mese lasciano la nostra regione per andare a lavorare e vivere all’estero. Si calcola che circa il 60% di loro abbia un titolo di studio superiore ed il 35% sono laureati.
Accanto a tutto questo si registra un notevole disallineamento tra la domanda di lavoro proveniente dalle aziende e l’offerta di lavoro.
Tecnici e disegnatori meccanici e meccatronici, manutentori, elettricisti qualificati, termoidraulici, specialisti dell’energia, informatici, ingegneri meccanici e gestionali sono tutte figure professionali altamente ricercate e di difficile reperibilità.
In questo contesto assume un ruolo di fondamentale importanza il tema della formazione, intorno al quale la Regione Veneto deve essere capace rapidamente di superare importanti divari che ancora la separano dalle regioni più progredite del centro-nord Europa. In particolare, riguardo agli indici di istruzione terziaria e allo sviluppo del sistema degli “Istituti tecnici superiori” e delle lauree professionalizzanti.
Le imprese, in particolare quelle innovative che sono tante nel nostro territorio, hanno bisogno di professionalità e di profili tecnici di alto livello, in grado di gestire i processi di innovazione, e i programmi di formazione, oltre che i giovani, devono riguardare anche i già occupati per rimanere al passo con il progresso della tecnologia.
Per favorire percorsi di formazione e buona occupazione per i giovani, un ruolo importante potrebbero avere i contratti di apprendistato, che faticano però ad imporsi, ed i programmi di alternanza scuola-lavoro.
Certamente positiva la scelta del Governo, nella legge di bilancio per l’anno in corso (Legge 160/2019), di integrare il fondo per l’alternanza scuola-lavoro e di incentivare il contratto di apprendistato di primo livello, per la qualifica o il diploma, con una riduzione contributiva totale per 3 anni per i datori di lavoro con organico non superiore a 9 addetti.
Per concludere, tante criticità evidenziate in un contesto storico dove la flessibilità del lavoro, la cosiddetta deregolamentazione, avrebbe dovuto favorire sviluppo e massima occupazione, consegnando all’autogestione il mercato del lavoro, quando invece ci accorgiamo oggi che senza una buona, trasparente e giusta cornice di regole rimane forte il rischio di favorire, soprattutto in riferimento ai giovani, percorsi professionali destrutturati, precari e ad alto rischio di conseguenze negative sia in termini di formazione che di protezione.
Così come assume un ruolo di straordinaria importanza il tema del salario minimo, che a nostro avviso va affrontato e risolto, più che per legge, attraverso la validità erga omnes dei CCNL di categoria stipulati dalle associazioni di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro più rappresentative, con la sola eccezione dei settori privi di copertura contrattuale.
Risulta quindi evidente l’esigenza, non più procrastinabile, di una forte e decisa presa di coscienza riguardo alla necessità di porre delle regole che tutelino la dignità del lavoro e delle persone. Questo non significa, teniamo a precisare, produrre ingessature di sistema che potrebbero avere ricadute negative dal punto di vista occupazionale, ma promuovere ed estendere tutele retributive, normative e contrattuali irrinunciabili e improcrastinabili per un sistema lavoro che si orienti alla crescita e alla qualità
A cura del Tavolo Lavoro – PD Verona