Nel nome della governabilità
Confesso che il primo Renzi non mi piaceva. Ricordo la sua prima apparizione. Partiva da Verona in camper per le primarie del PD. Alla Gran Guardia parlò per un’ora e mezza, a braccio. Fu estremamente efficace per chi ama l’abile retorica e ragiona emotivamente. Io sono sempre stato attirato dai ragionamenti pacati, dai discorsi ‘alti’, da politici come Martinazzoli, la Bindi e, in tempi più recenti, Bersani. Renzi mi appariva come uno straordinario parolaio, un piazzista della politica.
Mi sono parzialmente ricreduto. Oggi di Renzi mi piace la velocità. La velocità delle idee, la velocità nelle proposte, la velocità delle decisioni. Uno dei difetti della politica che lo ha preceduto è stata la straordinaria lentezza. Meglio una riforma sia pure in parte discutibile che una bella proposta che rimane sempre a livello di progetto.
In questo momento, se capisco le difficoltà della vecchia classe politica ad accettare l’uragano Renzi e non mi piace l’idea di un uomo solo al comando, fatico ad accettare gli ostacoli che la minoranza del PD continua a porre, invero più con le parole che con i fatti, alle iniziative del presidente del Consiglio.
Quello che più mi stupisce è l’attacco alla legge elettorale, già approvata alla Camera. Il PD, tutto il PD, dovrebbe essere più realista e più… egoista. Con la legge elettorale e la prospettiva concreta di elezioni anticipate, il PD otterrebbe, nel prevedibile ballottaggio, la maggioranza assoluta e potrebbe governare senza dover tenere conto degli attacchi continui delle opposizioni.
E’ dopo l’approvazione della legge elettorale che la minoranza del PD avrebbe pieno diritto di far sentire concretamente la sua voce e le sue proposte di modifica delle iniziative del presidente del Consiglio. Non “divide et impera”, ma “impera”, semmai “et divide”.
Guariente Guarienti
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