Fondazione Arena: non c’è peggior malato di quello che non vuole guarire

Pubblicato da il 18 Febbraio 2016 0 Commenti

“Il piano Tartarotti per il salvataggio della Fondazione Arena è un notevole campionario di tutti i mezzi legali esistenti per la riduzione del costo del lavoro, ma non dice nulla, all’infuori delle dichiarazioni d’intento, sulla necessaria fase di rilancio né sulla responsabilità oggettive di una parte della dirigenza. In queste condizione non riesco proprio a comprendere dove stia la trattativa”. Così il capogruppo PD Michele Bertucco, che aggiunge: “Si parla infatti di prepensionamenti per 14 lavoratori; blocco delle assunzioni, ricollocazione di 52 lavoratori amministrativi presso l’Ales; esternalizzazione di portineria, facchinaggio, manutenzione e biglietteria; smantellamento del corpo stabile di ballo (da segnalare che per il personale artistico la Bray non prevede alcun ammortizzatore e non si possono nemmeno ricollocare tra gli amministrativi); ultraprecarizzazione degli operai che passeranno dai contratti a tempo determinato a contratti a chiamata; sostituzione dei full-time con contratti a tempo parziale; aumento delle coproduzioni non nell’ottica della valorizzazione del nostro teatro ma per risparmiare ulteriormente sul costo del lavoro. Tenendo conto dei sostanziosi stipendi di dirigenti e sovrintendenti, consulenti e collaboratori, compreso quello della nuova arrivata, che non vengono mai messi in discussione, direi che la volontà di addossare sui lavoratori l’intero costo della necessaria opera di risanamento è palese e non conosce il significato della parola pudore”.

Rincara la dose la consigliera Elisa La Paglia: “Ci sono nostri concittadini veronesi che si sono distinti in giro per l’Italia per aver risanato teatri ricostruendo relazioni sia con il pubblico che con il privato e portando a casa risultati, soldi, premi e spettatori. Mi chiedo cosa abbiamo fatto di male negli ultimi anni a Verona per meritarci vertici della Fondazione Arena capaci soltanto di generare barriere e conflitti (con lo Stato, con i lavoratori, gli artisti, gli altri teatri) che non hanno portato a nulla. La vocazione internazionale di Verona non si risolve mandando in eurovisione un’opera cantata e suonata da una qualunque compagnia di giro ma nell’avere un teatro stabile altamente professionalizzato in grado di portare nel mondo la grande opera italiana la cui popolarità all’estero è crescente. Pertanto se il sindaco non vuole farlo ci prenderemo noi la responsabilità di fare una proposta incardinata su tre punti fondamentali: rilancio e trasparenza; internazionalizzazione; alleanza con lavoratori e pubblico”.