Pfas, da mesi è sospeso lo screening per i cittadini delle zone rosse La Paglia: “Al centro prelievi nessuno sa quando riprenderà. Dai dati della Regione risulta che a fine 2019 solo metà dei residenti interessati aveva fatto la visita. Devono ripartire esami e prese in carico di chi ha i valori alterati”
“Sul sito dell’Ulss 9 leggiamo che non è ancora ripartito lo screening Pfas. Vogliamo sapere quanto riprenderanno i prelievi ematici e gli appuntamenti per i questionari. L’emergenza Covid non può essere una scusante. Ci sono 47.533 cittadini che vivono nei Comuni delle zone rosse del Basso Veronese in cui è ancora grande la preoccupazione per l’inquinamento e che temono di ammalarsi a causa dell’esposizione delle sostanze perfluoroalchiliche”.
Elisa La Paglia, candidata alle elezioni regionali, chiede chiarezza sul piano di sorveglianza sanitaria, che attualmente risulta sospeso, almeno parzialmente. Sul sito dell’Ulss 9 si legge, infatti, che l’attività di screening di primo livello è ripartita (screening mammografico, del colon retto e cervico uterino), ma non quello del sangue e delle urine per le sostanze Pfas. “Abbiamo chiamato il Centro prelievi di Legnago e ci siamo sentiti rispondere che lo screening è stato sospeso a causa dell’emergenza Covid e che non si sa quando verrà ripreso, perché non ci sono ancora direttive. Alcuni cittadini si sono sentiti rispondere di chiamare a metà settembre, perché adesso non si sa ancora nulla. Vorremo sapere da quanti mesi è sospeso il piano di sorveglianza sanitaria della Regione Veneto, visto che nessuno su questo ha mai detto nulla e quando si ha intenzione di riprendere gli esami – incalza La Paglia -. Ricordiamo che lo screening, che in Veneto coinvolge oltre 85.000 persone, su 127.000 abitanti residenti nei Comuni interessati da esposizione a Pfas, di cui 47.533 afferenti all’Ulss 9 scaligera, ha l’obiettivo di indentificare le malattie potenzialmente associate all’esposizione a sostanze perfluoroalchiliche e la presa in carico sanitaria della popolazione esposta. Proprio per questo è importante che l’attività sia continua nel tempo, a tutela della popolazione che è già stata fortemente danneggiata da questo enorme inquinamento su cui sono stati aperti diversi filoni d’indagine”.
Nel Veronese, la sorveglianza è iniziata a maggio 2017 nell’ospedale di Legnago, e a ottobre 2017 nell’ospedale di San Bonifacio. La popolazione target è costituita dai residenti di età compresa tra i 14 e i 65 anni. Per quanto riguarda la competenza Ulss 9, la popolazione target è di 47.533 persone: 23.201 per il centro prelievo di San Bonifacio (comuni di Albaredo d’Adige, Arcole, Cologna Veneta, Pressana, Roveredo di Guà, Veronella e Zimella) e 24.332 per il centro prelievo di Legnago (Comuni di Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant’Anna, Legnago, Minerbe e Terrazzo). “Sul sito della Regione Veneto l’ultimo rapporto relativo al piano di sorveglianza sanitaria è del dicembre 2019 – osserva ancora La Paglia -. Risultano 72.000 gli inviti spediti ai residenti dell’intera area rossa veneta ma 42.400 le visite effettuate, a causa di una bassa adesione di alcune fasce della popolazione. Sul 2020 non c’è una riga. Sul sito dell’Ulss 9 va ancora peggio, perché i report si fermano a giugno 2018. È dato sapere ad oggi a che punto siamo? Quali sono i dati dei primi mesi 2020 e fino a quando sono stati effettuati gli esami? E, soprattutto, a che punto è la presa in carico di 2° livello per le persone in cui gli esami hanno evidenziato le alterazioni più marcate e presenza di Pfas? Nell’Ulss 9, al 31 dicembre scorso, solo 1.200 persone erano state invitate negli ambulatori per esami di approfondimento. Un numero bassissimo, dato che in una grande fetta della popolazione lo screening ha evidenziato dati alterati”.
Elisa La Paglia ricorda che “tutta la popolazione delle zone contaminate ha diritto ad avere accesso alla sorveglianza sanitaria, compreso chi risiede nella zona arancione, come San Bonifacio. Inoltre i controlli, come disposto dalle delibere regionali, devono essere effettuati anche sulle persone già sottoposte al primo studio di biomonitoraggio, come disposto dalla Regione. Come evidenziato pochi mesi fa da un documento della Società dei medici per l’ambiente (Isde), buona parte della popolazione nelle zone maggiormente contaminate è ancora esposta a importanti di sostanze tossiche presenti nell’acqua potabile, in quanto questa non è adeguatamente filtrata. Ma la contaminazione può arrivare, oltre che dai rubinetti, dai pozzi privati, spesso usati per le coltivazioni e per il bestiame: e quindi dagli alimenti. Come raccomandano i medici, occorre mettere in atto tutte le azioni efficaci per garantire, da subito, acque salubri e pulite e nel rispetto del principio di prevenzione primaria, evitando in ogni modo la stessa produzione di queste sostanze tossiche per l’ambiente e per la salute umana e la loro potenziale immissione nell’ambiente. Vanno quindi messe in campo risorse importanti per estendere e rafforzare il più possibile la sorveglianza sanitaria per far fronte con decisione a una delle vicende di inquinamento industriale più grandi di tutta Europa”.