Due più due
Partiamo dai fatti. Dopo l’indiscutibile affermazione del Movimento 5 Stelle nelle elezioni politiche del febbraio 2013, l’ambasciatore americano David Thorne invita i ragazzi di un liceo romano ad “agire come il M5S”. Siamo in un momento molto delicato: in Parlamento non c’è una maggioranza in grado di sostenere un governo ed il Presidente Napolitano è alla fine del suo mandato, con poteri dimezzati. Le dichiarazioni di Thorne suscitano un vespaio di polemiche. L’ambasciatore non si fa impressionare e agli inizi di aprile incontra ufficialmente una delegazione pentastellata. Alla fine, dopo una fase molto convulsa, Napolitano viene rieletto e si forma un governo presieduto da Enrico Letta.
Varie fibrillazioni, dovute anche ai guai giudiziari del Cavaliere, conducono prima alla fine delle larghe intese e poi alla sostituzione di Letta con Renzi. Intanto si avvicinano le elezioni europee e la coppia Grillo – Casaleggio punta ad una sonante vittoria per far cadere il governo e mettere sotto accusa Napolitano. Proprio nell’ultima e più calda fase della campagna elettorale accadono altri due fatti significativi. L’ex ministro del Tesoro americano Geithner rivela in un libro di memorie di essere stato contattato nell’autunno del 2011 da non meglio precisati funzionari europei per far cadere il Governo Berlusconi e di aver rifiutato, d’accordo col Presidente Obama, di partecipare alla “congiura”. Da questa parte dell’Atlantico si ribatte che erano gli americani a voler mettere sotto tutela del Fondo monetario l’Italia con un prestito di 80 miliardi che avrebbe escluso le istituzioni europee dalla gestione della crisi italiana. Inutile dire che l’uscita di Geithner viene sfruttata dalle forze più antieuropeiste.
Il terzo indizio arriva subito dopo. A pochi giorni dall’apertura delle urne, Casaleggio rivela di essere stato invitato con il suo sodale nel maggio 2013 all’ambasciata inglese per incontrare Enrico Letta e assicurare la rielezione di Napolitano. Seguono smentite e controsmentite, ma due circostanze sono confermate da tutti i protagonisti: la coppia alla guida del M5S è andata all’ambasciata inglese e non ha incontrato Enrico Letta.
Sul suo blog Beppe Grillo scrive che due indizi fanno una prova. Noi siamo più garantisti di lui. E soprattutto siamo più fedeli ad Agatha Christie, secondo cui tre indizi fanno solo un sospetto. Mancava la prova, il due più due fa quattro. Arriva dopo le elezioni europee. Il M5S deve scegliere la propria collocazione nel Parlamento europeo. La formuletta “non siamo né di destra né di sinistra” così cara a tutti i populismi non può durare più a lungo. L’Europa costringe a delle scelte ed è un bene che sia così. Dopo anni di incertezze, anche il PD ha dovuto fare la sua. Sicuramente il primo merito di Renzi appena divenuto Segretario. Un merito che riconosciamo anche ad un avversario dell’unità europea come Matteo Salvini, che si schiera già in campagna elettorale con il Front National francese. Parafrasando Zhu Enlai, ora Lega Nord e FN dormono nello stesso letto e fanno gli stessi sogni. Ma torniamo al M5S. Scartata fin dall’inizio l’alleanza con Marine Le Pen, tre gruppi sembrano potersi contendere i 17 eurodeputati grillini. Ma Grillo rifiuta ogni possibile accordo coi Verdi e propone una doppia zuppa inglese per il consueto referendum on line: o l’entrata nel gruppo ECR egemonizzato dai Tories o l’alleanza con lo UKIP, uscito vincitore dalle elezioni nel Regno Unito. In altri termini, o i conservatori euroscettici eredi della Thatcher o i nazionalisti indipendentisti di Farage. Un dilemma non amletico. Il Nostro non ama però le mezze misure: incontra Farage e si schiera apertamente per lui. L’intendenza ha finito per seguire, pur con qualche travaglio. Come scriveva Eraclito l’Oscuro, il tempo porta alla luce tutte le cose. Nel nostro caso senza molto sforzo. E’ bastato un anno. E senza bisogno di pensar male per azzeccarci.
Questi fatterelli meritano qualche considerazione. Come ben sappiamo, la scelta in Europa non è mai tra federalismo e sovranità nazionale. Questa è solo una storiella messa in giro dai nemici dell’unità europea, mentitori che difendono una sovranità divenuta vuota parvenza. La vera opzione è tra battersi per costruire un potere europeo sovranazionale in grado di rendere di nuovo i cittadini del Vecchio Continente padroni del proprio destino e diventare succubi di qualche potere straniero. Al di là della Manica e al di là dell’Atlantico. Nella City e a Wall Street, dove operano potenti forze che vedrebbero di buon occhio la scomparsa dell’euro. Gli Stati nazionali sono un vecchio arnese superato dalla storia. L’Italia prima degli altri e più degli altri. Chi non vuole la Federazione europea accetta il dominio dei potentati finanziari ed economici e la subordinazione alle grandi potenze, vecchie e nuove. Tertium non datur. Anche per il Movimento 5 Stelle.
Detto questo ed anzi a maggior ragione, sarebbe stupido e controproducente non tentare di far comprendere quell’alternativa alle nuove forze politiche che sono comparse sulla scena, non disperando mai in una loro conversione. Come è accaduto a tanti altri nel passato. La scelta voluta dai capibastone del M5S non è stata del tutto indolore. E il gioco è appena iniziato, perché nel Parlamento europeo si presenteranno molte occasioni per rimetterla in discussione. I federalisti sanno per esperienza quanto sia vera l’osservazione dell’ambasciatore C. W. Freeman Jr.: “Everything comes to those who wait.”
Giorgio Anselmi
Direttore de “L’Unità Europea”